Danno morale e dinamico-relazionale: può essere superiore e non proporzionale al danno biologico

Danno morale e dinamico-relazionale: può essere superiore e non proporzionale al danno biologico
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Il Tribunale di Firenze, sentenza 11 giugno 2024, ha condannato il Ministero della Salute a risarcire, ad una donna che aveva contratto l’Epatite C durante il parto e allo stato attuale in completa remissione e priva di complicanze funzionali, il danno morale e dinamico relazionale da questa subito in passato, liquidandolo in via equitativa (senza applicare il criterio dell’incremento del punto tabellare biologico) ed in misura notevolmente superiore rispetto al danno biologico, in quanto ha ritenuto che altrimenti non sarebbe stato equo rispetto al danno effettivamente patito dalla paziente.

Il caso

Una paziente di un ospedale toscano aveva promosso, dinanzi al Tribunale di Firenze, una causa nei confronti del Ministero della Salute, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti per aver contratto nel 1970 l’infezione HCV, diagnosticata nel 1999, a seguito di un trattamento di emo-trasfusione durante il parto. Il giudizio era stato sospeso per diversi anni, in quanto la paziente aveva formulato anche una richiesta di indennizzo ai sensi della relativa legge nei confronti del predetto Ministero, che era stata ritenuta pregiudiziale in quanto l’eventuale indennizzo avrebbe dovuto essere detratto dal totale risarcitorio per i danni subiti.

Dopo i primi due gradi di merito, la Corte di cassazione nel 2023 aveva confermato il rigetto della richiesta di indennizzo da emotrasfusione, in quanto vi era stata una completa remissione della patologia infettiva, ed aveva affermato che il danno psichico non rientra nella tabella degli indennizzi.

Successivamente alla definizione del predetto giudizio in cassazione, quindi, la paziente aveva riassunto il giudizio risarcitorio introdotto nei confronti del Ministero, dove veniva disposta una CTU medico legale e venivano escussi dei testimoni, per verificare la sussistenza e l’entità di eventuali postumi permanenti.

All’esito della CTU, il perito confermava che l’Epatite C - contratta dalla paziente a causa della trasfusione ematica-, allo stato attuale, è in completa remissione e priva di complicanze funzionali clinicamente evidenti. In considerazione di ciò, il perito quantificava il danno permanente della paziente nella misura del 5% a causa della compromissione organica (cioè una fibrosi epatica) dovuta all’epatite C.

Il Tribunale di Firenze ha ritenuto fondata la richiesta di risarcimento danni formulata dalla paziente, liquidando a favore di quest’ultima non soltanto il danno biologico nella misura del 5% (come quantificato dal CTU per la predetta fibrosi epatica), ma altresì il danno morale e dinamico relazionale, quantificandolo – in via equitativa – in un importo notevolmente superiore al predetto danno biologico. Infine, conseguentemente all’accoglimento della domanda formulata dalla paziente, il Tribunale ha altresì condannato il Ministero della Salute a rifondere all’attrice le spese legali del giudizio ed ha posto a carico dello stesso Ministero le spese delle due CTU svolte nel corso del procedimento.

Impatti pratico-operativi

Il Tribunale di Firenze ha ritenuto di aderire all’orientamento della Corte di cassazione, con riferimento ai danni c.d. lungolatenti (cioè che si manifestano a distanza di tempo dal fatto illecito), secondo cui il diritto al risarcimento del danno biologico sorge solo nel momento in cui si manifestano i sintomi e non dal momento in cui è stata contratta l’infezione. Tale conclusione è giustificata dal fatto che il danno biologico non si sostanzia nella semplice lesione dell’integrità psico-fisica, quanto piuttosto nelle conseguenze pregiudizievoli che subisce la persona. In altri termini, secondo la Corte, fino a quando non si verificano le conseguenze dannose sul paziente, non vi è alcun danno ingiusto da risarcire.

Nel caso di specie, il giudice fiorentino ha ritenuto che fosse stata provata la sussistenza di un danno biologico permanente molto modesto (pari al 5%), ma che invece vi fosse stato un danno esistenziale e relazionale nonché morale molto significativo.

Quanto al danno esistenziale e relazionale, il giudice ha evidenziato che, dall’istruttoria orale svolta in giudizio, è emerso che la paziente, negli anni in cui si è manifestata la malattia, avesse subito delle limitazioni alla propria sfera sessuale e a quella lavorativa nonché alla vita sociale e ai viaggi dovute alle lunghe e pesanti conseguenze delle cure contro l’epatite C (con cicli di interferone e relativa spossatezza).

Quanto al danno morale, il Tribunale ha ritenuto che, trattandosi di una sofferenza interiore, non potesse essere richiesta all’attrice la prova positiva di un fatto storico che si sia manifestato in maniera evidente nella realtà fenomenica esteriore. Piuttosto, secondo il giudice, la prova di tale danno può essere raggiunta attraverso il notorio (il c.d. id quod plerumque accidit): si può presumere che l’attrice abbia avuto una forte sofferenza psichica dopo aver saputo di aver contratto una malattia infettiva ed invalidante a carico di un organo vitale come il fegato (con tutte le conseguenze limitative di cui si è detto prima).

Ritenuto, quindi, sussistente il predetto danno morale e esistenziale-relazionale, il giudice ha ritenuto che lo stesso potesse essere quantificato con un giudizio equitativo puro, senza applicazione delle tabelle assicurative né dei criteri previsti dalla legge Gelli-Bianco (in quanto, trattasi di disposizioni normative entrate in vigore dopo i fatti di causa e quindi non applicabili retroattivamente secondo quanto previsto dalle Preleggi).

In particolare, il Tribunale fiorentino ha liquidato all’attrice la somma complessiva di €.50.000, di cui soltanto €. 6.575,00 a titolo di danno biologico e la restante parte a titolo di danno esistenziale, relazionale e morale.

A tal proposito, il giudice ha ritenuto non equo quantificare il danno morale e dinamico-relazionale come mero incremento del punto percentuale tabellare biologico, perché nel caso concreto l’attrice aveva subito danni derivanti dalla contrazione di una malattia infettiva con forti limitazioni personali, che - in quanto tali - non sono proporzionali all’entità del danno biologico subito (bensì molto più elevati). A conferma del suddetto ragionamento, il giudice fiorentino ha poi ricordato il recente orientamento della Corte di cassazione, secondo cui il criterio di proporzionalità del danno morale rispetto a quello biologico non ha natura vincolante per il giudice, bensì soltanto presuntiva (e pertanto può essere superato nel caso concreto, qualora il giudice ritenga che detto criterio non sia integralmente satisfattivo dei danni effettivamente subiti dal danneggiato).

Esito giudizio: Accoglimento

Fonte: Altalex

https://www.altalex.com/documents/2024/08/27/danno-morale-dinamico-relazionale-superiore-non-proporzionale-danno-biologico

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