Sinistro stradale e perdita del lavoro. Il danno va calcolato in base alle possibilità residue di trovare altro lavoro
Per la perdita della capacità lavorativa specifica il reddito perduto è la base di calcolo, ma il danno è parametrato con la perdurante possibilità di procurarsi in futuro gli stessi introiti
In seguito ad un sinistro stradale, un uomo riporta una lesione alla caviglia che ne compromette la mobilità. A causa di tale lesione, perde il lavoro da autotrasportatore e resta pregiudicata la possibilità di svolgere, in futuro, un impiego equivalente. In sede giudiziale, gli viene riconosciuta un’invalidità permanente del 10% e un’incapacità lavorativa specifica del 50%.
L’uomo lamenta le modalità di calcolo seguite dal giudice di merito, il quale ha impiegato come base di calcolo il reddito perso, lo ha moltiplicato per il coefficiente di capitalizzazione e per la perdita della capacità lavorativa specifica. Il danneggiato sostiene che gli sia dovuto l’intero importo, senza l’abbattimento pari alla percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica (50%).
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 23 maggio 2023, n. 14241 (testo in calce), rigetta il ricorso e ribadisce la propria giurisprudenza in materia di danno da lucro cessante.
Qualora il soggetto abbia riportato una lesione permanente che riduca la sua capacità lavorativa specifica e abbia perso il lavoro a causa di tale lesione, «il danno patrimoniale percepito non è pari all'intera portata di quegli emolumenti ma a quella somma, capitalizzata, proporzionalmente ridotta in virtù della percentuale di incapacità lavorativa specifica». In buona sostanza, nella liquidazione del danno, occorre considerare anche la possibilità per il soggetto di trovare in futuro un’altra occupazione. Infatti, diversamente opinando, «ove il danno fosse parametrato alla perdita degli emolumenti perduti senza considerare la mantenuta, benché ridotta, capacità di guadagno del soggetto, il soggetto danneggiato verrebbe a lucrare indebitamente una somma pari alle intere entrate precedenti, perdute, senza più dover svolgere alcuna attività lavorativa, venendo a conseguire un indebito vantaggio».
La vicenda
Il conducente di un ciclomotore viene urtato da una macchina che sbocca da una stradina laterale senza concedere la dovuta precedenza. L’uomo riporta dei postumi permanenti alla caviglia, che incidono in maniera significativa sulla sua capacità lavorativa specifica, dal momento che egli svolge l’attività di autotrasportatore. Il danneggiato evoca in giudizio la conducente dell’auto e la di lei compagnia assicuratrice, al fine di ottenere il risarcimento del danno. In primo grado, i convenuti rimangono contumaci e la domanda viene rigettata, in quanto, secondo il giudice, le lesioni riportate dall’attore non sono compatibili con la dinamica del sinistro. Il danneggiato, infatti, ha riportato lesioni sulla parte destra del corpo, mentre l’urto è avvenuto nella parte sinistra del motociclo. La Corte d’Appello, invece, accoglie il gravame dell’uomo e accerta l’esclusiva responsabilità della conducente dell’autovettura, condannando gli appellati in solido al pagamento di circa 192 mila euro, oltre interessi e rivalutazione. Secondo i giudici del gravame, la ricostruzione dei fatti è attendibile: l’auto ha colpito posteriormente il ciclomotore e il conducente, dopo l’impatto, si è trovato con la gamba destra incastrata sotto il mezzo. Il medico legale assegna:
• un’invalidità permanente, consistente nella limitazione funzionale della caviglia destra, pari a 10 punti percentuali;
• una riduzione della capacità lavorativa specifica pari al 50%; infatti, la possibilità per il danneggiato di continuare la professione di trasportatore è pregiudicata dalla perdita di mobilità alla caviglia.
Nella liquidazione del danno non patrimoniale viene applicata una personalizzazione del 15% per la perdita della possibilità di praticare sport. Il danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica viene liquidato usando come base di calcolo l’ultima retribuzione mensile percepita prima del sinistro, aumentata a mille euro in previsione dei possibili incrementi futuri, per un complessivo reddito annuo di 12 mila euro, capitalizzato considerando l’età al momento dell’incidente e decurtato del 10% per lo scarto tra la vita fisica e lavorativa. Il danno patrimoniale viene liquidato in circa 151 mila euro oltre interessi e rivalutazione.
Si giunge così in Cassazione.
Premessa: il danno da perdita della capacità lavorativa specifica e generica
Prima di analizzare il decisum, ricordiamo cosa s’intende con perdita della capacità lavorativa.
In linea generale, la capacità lavorativa è l’idoneità di un soggetto di produrre un reddito. La giurisprudenza ne distingue due forme:
• la capacità lavorativa generica, ossia la possibilità di svolgere qualsiasi lavoro, anche diverso dal proprio, ma confacente con le proprie attitudini;
• la capacità lavorativa specifica, ossia l’idoneità a svolgere la propria attuale occupazione (ad esempio, nel caso di specie, l’autotrasportatore).
La lesione della capacità lavorativa comporta un pregiudizio:
• la perdita della capacità lavorativa generica si sostanzia in un danno non patrimoniale consistente nelle difficoltà di esercitare un’occupazione lavorativa astrattamente intesa;
• la perdita della capacità lavorativa specifica è un danno patrimoniale consistente nella difficoltà di continuare a svolgere concretamente il proprio lavoro.
Nella fattispecie in esame, viene in rilievo la riduzione di capacità lavorativa specifica che ha subito il danneggiato, il quale, a causa della lesione alla caviglia, difficilmente potrà svolgere ancora l’attività di trasportatore. Tale pregiudizio si traduce in un danno futuro da mancato guadagno (lucro cessante).
Ciò premesso, torniamo alla disamina della decisione.
Rapporto tra invalidità permanente e incapacità lavorativa specifica
La compagnia assicurativa contesta la liquidazione del risarcimento, in particolare, lamenta che non sia stato adeguatamente motivato come da un’invalidità permanente del 10% possa derivare un’incapacità lavorativa specifica così alta (50%). In buona sostanza, l’assicurazione ritiene l’importo stabilito dal giudice non proporzionale al grado di invalidità permanente.
La Suprema Corte considera la censura infondata.
Infatti, non esiste una correlazione diretta tra la percentuale di invalidità e la percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica; infatti, il grado di invalidità non si riflette in maniera automatica sulla riduzione della capacità lavorativa specifica, ma spetta al giudice di merito valutarne l’incidenza in concreto (Cass. 19537/2007).
Nel caso di specie, la sentenza gravata ha accertato che, in seguito alla perdita di mobilità della caviglia, il danneggiato ha perso il lavoro, ed è evidente che tale lesione gli avrebbe impedito anche in futuro di trovare un lavoro equivalente, per questa ragione, la misura della perdita della capacità lavorativa specifica è stata determinata nel 50%. Tale valutazione costituisce un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato.
Il giudice, nella determinazione della riduzione della capacità lavorativa specifica, ben può discostarsi dalla misura dell’invalidità permanente. Infatti, è pur vero che la valutazione sulla ridotta capacità lavorativa specifica ha ad oggetto i postumi permanenti, ma deve altresì considerare le «caratteristiche del lavoro precedentemente svolto (o delle aspettative lavorative realisticamente apprezzabili, sulla base della formazione del danneggiato e delle esperienze maturate), e [la] possibile idoneità della invalidità permanente conseguente al sinistro di pregiudicare in concreto la situazione lavorativa preesistente e le prospettive future».
Danno da lucro cessante è pari all’intera perdita reddituale?
La sentenza gravata ha utilizzato come base del calcolo l’ultima retribuzione arrotondata in aumento, ma il danneggiato lamenta che il calcolo del danno patrimoniale sia avvenuto impiegando come base il reddito moltiplicato per il coefficiente di capitalizzazione e per la perdita della capacità lavorativa specifica in percentuale, sottratto lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa.
Il ricorrente incidentale ritiene che non sia corretto l’abbattimento pari alla percentuale di perdita della capacità lavorativa (50%) e richiama un precedente di legittimità (Cass. 28071/2020) secondo cui, se il danneggiato ha perso il posto di lavoro a causa del sinistro, il danno da lucro cessante va liquidato considerando l’intero importo delle retribuzioni che ha perso, senza riduzione, salvo il caso in cui il danneggiante dimostri che il danneggiato abbia reperito una nuova occupazione (oppure che avrebbe potuto reperirne una, ma non lo abbia fatto per sua colpa). In definitiva, il danneggiato sostiene che il danno vada parametrato all’intera perdita reddituale, atteso che egli ha perso il lavoro e, a causa della lesione, non potrà più svolgerne uno equivalente.
La Suprema Corte considera infondata la doglianza, infatti, il criterio di quantificazione del danno seguito dalla sentenza gravata è corretto, in quanto appare conforme a quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 16913/2019).
La legge prevede che il danno subito debba essere ristorato integralmente (ex art. 1223 c.c.) e, in virtù di tale principio, il danno patrimoniale futuro da perdita della capacità lavorativa specifica va liquidato moltiplicando il reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione.
A tal fine, occorre utilizzare:
• “da un lato, la retribuzione media dell'intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativi o altrimenti stimata in via equitativa,
• e, dall'altro, coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano”.
Nel caso di specie, il danneggiato ha perso il lavoro a causa dell’incidente ed è remota la possibilità che possa trovarne uno equivalente a causa della lesione riportata.
Nel calcolo del danno patrimoniale da lucro cessante, il reddito percepito e perduto rappresenta solo la base del calcolo. Il danno non può coincidere con le entrate perse nell’intera vita lavorativa, infatti, va considerata la possibilità che il danneggiato possa trovare un impiego, dal momento che la sua capacità lavorativa è solo ridotta, non esclusa del tutto. Per questa ragione, l’importo deve essere abbattuto considerando la residua capacità lavorativa. Qualora il danno venisse parametrato alla perdita complessiva degli emolumenti, senza considerare la seppur ridotta capacità di guadagno del danneggiato, questi otterrebbe un indebito vantaggio.
Secondo gli ermellini:
• «quand'anche il soggetto che abbia riportato una invalidità permanente atta a determinare una riduzione della sua capacità lavorativa specifica svolgesse un lavoro retribuito al momento del sinistro e perda questa attività in conseguenza del sinistro, non ricevendone più gli emolumenti, il danno patrimoniale percepito non è pari all'intera portata di quegli emolumenti ma a quella somma, capitalizzata, proporzionalmente ridotto in virtù della percentuale di incapacità lavorativa specifica».
Il danno patrimoniale è da parametrare all'intero reddito percepito solo nel caso in cui la capacità lavorativa specifica del danneggiato sia ridotta a zero, stante l’impossibilità di recuperare una nuova posizione lavorativa.
Conclusioni: bisogna considerare la capacità lavorativa residua
La Suprema Corte rigetta sia il ricorso principale (proposto dalla compagnia assicuratrice) sia quello incidentale (sollevato dal danneggiato) e afferma quanto segue:
• «ai fini di una liquidazione del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica per equivalente che sia effettivamente volta a reintegrare il danneggiato nella situazione preesistente, il reddito perduto costituisce la base di calcolo ma il danno deve essere parametrato alla misura della sua perdurante possibilità di procurarsi in futuro quegli stessi introiti o altri idonei a soddisfare le sue esigenze».
Fonte: ALTALEX